La quotidianità ha i suoi imperativi e mi trascina lontana dal mio intento. Mi cruccio per la lentezza con cui procede il cammino, mi domando se riuscirò a portarlo a termine e se troverò le parole per raccontarlo. Poi, come un balsamo, mi tornano in mente le parole di una persona saggia: il possibile è un dono.
Aprile
Daijōbō 大乗坊, tempio n.29

Seguendo la mappa finisco a Den Den Town でんでんタウン, il distretto dell’elettronica, dove den sta per denki 電気 (elettricità) e dove, fra nuovo e usato, si trova praticamente di tutto. Ogni volta che capito da queste parti l’allestimento vagamente anni ’80 dei negozi mi fa venire una gran voglia di entrare. Passando in rassegna le vetrine mi imbatto nel meraviglioso “Paradiso della vite” che, come promette il nome, espone in ordine quasi metafisico viti grandi, viti medie, viti piccole, viti ramate, argentate, dorate. I clienti qui vengono coccolati da un raffinatissimo sottofondo jazz e la più umile delle merci diventa incredibilmente attraente. Il mio primo impulso è comprare, non importa cosa, comprare è l’imperativo, purché appaghi il bisogno generato da questo sapiente marketing. Ma cosa me ne faccio di una vite? Mi scuoto appena in tempo e proseguo il cammino.
Qualche parallela più in là, nel cuore del quartiere, c’è il covo degli otaku, una sorta di Akihabara miniaturizzata che racchiude, nell’arco di 500 metri, meido café メイドカフェ1, megastore di merchandising a tema anime, carte da gioco, karaoke e naturalmente il consueto via vai di frequentatori e ragazze immagine, ritratto dell’innocenza e della provocazione. Il tempio n. 29 sta nel mezzo di questo frastuono, incastrato fra palazzi che se ne sono mangiati una parte del tetto. Il suo contegno nobile, nella tempesta del samsara, fa quasi tenerezza.

Varcata la soglia del cortile la sensazione di mancanza di spazio si rinnova. Il percorso dall’ingresso all’unico padiglione è infatti brevissimo, forse due metri, e le statue dei due koma inu 狛犬 ai lati del portale sembrano gigantesche. Inu significa cane, ma i koma inu, una delle tante versioni dei guardiani del tempio, con la loro criniera a nuvola assomigliano più a dei leoncini. Come gli altrettanto famosi “colleghi” Agyō e Ungyō, tengono uno la bocca aperta che emette il suono “a”, l’altro la mandibola serrata che emette il suono “hūm” (“om”), alfa e omega, inizio e fine.

Apro la porta scorrevole del padiglione e mi ritrovo in una sala angusta, copia conforme del cortile alle mie spalle. Le sole zone accessibili sono un altarino a destra – dove in offerta sono appoggiati due appetitosi ananas – e la reception a sinistra. Il monaco all’ accoglienza pare stupito di vedermi e inizia a muoversi lentamente come arrugginito dal tempo. Fingendo di non cogliere il suo imbarazzo, gli porgo il goshuincho per ricevere come al solito il sigillo del tempio, lui apre il quaderno, intinge il pennello e una goccia d’inchiostro sporca la pagina. «Che peccato!» dico fra me e me, ma un attimo dopo un tipo diverso di pensiero mi attraversa: la piccola sbavatura racconta di un errore abbastanza raro per questi abili calligrafi ed è la riprova di quanta disciplina esiga il pennello. Basta una minima incertezza, una distrazione di una frazione di secondo e l’inchiostro rivela la sua natura indomita. Così, con questa macchia, la mia collezione si è arricchita di una rara imperfezione, traccia della fallibilità umana. Quando il monaco mi restituisce il quaderno provo ormai simpatia nei suoi confronti e mi spingo a domandargli il nome della divinità con tante braccia di una statuetta alle mie spalle. Aizen-miyōō (愛染明王), mi risponde, un re guerriero in grado di convertire rabbia, lussuria e passione in risveglio spirituale2. Niente male come abilità, penso figurandomelo come il personaggio di un gioco di ruolo. Sarà l’influenza del quartiere in cui mi trovo?

Naniwaji 難波時, tempio n.28
Risalgo in bicicletta alla volta del tempio n. 28 e giungo in un piccolo santuario davanti a cui sono passata migliaia di volte senza mai fermarmi. È collocato in una stradina accanto al Supā Tamade スパー玉出, una catena di supermercati fluorescenti e rumorosi simili a pachinko3. Siamo alle spalle di Den Den Town e a qualche centinaio di metri da Shinsekai, quartiere dalla fama tutt’altro che immacolata, meta del turismo mordi e fuggi che accorre per un assaggio ai kushikatsu (spiedini di carne, pesce o verdura fritti) e una foto sotto lo Tsūtenkaku 通天閣, la tour Eiffel di Ōsaka.


Il piccolo tempio pare essere immune all’ambiente che lo circonda e se ne sta raccolto in meditazione, come un’oasi di santità. Il quieto cortile è circondato a ogni lato da steli di pietra, statuette e teche che lasciano intravedere dietro il riflesso delle vetrate i loro santi: Kobo Daishi fondatore della scuola Shingon 真言, la corrente esoterica del buddismo giapponese, e i due difensori del tempio Fudō-san e Bishamonten 毘沙門天. Quest’ultimo è uno dei sette dei della fortuna, dio della guerra e dei guerrieri, punitore dei malvagi, custode dei templi shintoisti, ma anche dei luoghi in cui Buddha ha predicato. Se Fudō-san è praticamente onnipresente nei templi, Bishamon è un po’ più raro, curioso che lo abbia incontrato già due volte oggi, al tempio 29, di cui è divinità principale, e nuovamente qui.
つづく…. Continua…
NOTE
1. In ordine: il termine otaku お宅, inizialmente usato con accezione negativa, indica una persona appassionata in modo ossessivo da manga, anime, e altri prodotti ad essi correlati, e che per questo trascorre tutto, o quasi tutto il tempo in casa (il significato di otaku お宅 è appunto “dimora”). Akihabara (spesso abbreviato in Akiba) è il quartiere di Tōkyō che rappresenta per eccellenza tutto ciò che è legato alla cultura manga e anime, come ad esempio il fenomeno cose play (travestimento). I meido café (maid café in inglese) sono delle caffetteria in cui le giovani cameriere, vestite in stile vittoriano, in divisa solitamente nera con un grembiule dagli ampi merletti, si rivolgono ai clienti con un linguaggio affettato e di altri tempi e possono intrattenerli con giochi ed esibizioni canore.
2. Un myōō è un re guerriero o re della conoscenza. La scuola del buddismo esoterico Shingon indica che Buddha è l’insegnamento puro, i bodhisattva invece insegnano attraverso la compassione e i cinque myōō, che sono a loro volta manifestazioni di Buddha, insegnano attraverso la ruota delle ingiunzioni, spaventando i credenti e portandoli alla fede. A fianco ai cinque myōō principali ce ne sono altri come Aizen che è spesso rappresentato seduto su un fiore di loto, la pelle rossa, sei braccia e il terzo occhio.
3. I pachinko sono sale scommesse caratterizzate da un ambiente assordante, in cui si gioca immersi nel frastuono delle delle slot machine e delle luci a neon. Per pura curiosità sono entrata in una di queste sale anni fa. Ricordo i getti di aria profumata che venivano immessi come in una discoteca e il rumore infernale dal quale sono scappata.
INDICAZIONI ESSENZIALI

Per il Daijōbō scendete alla stazione Nippombashi della compagnia Kintestu e camminate verso Sud per circa 10 minuti. In alternativa scendete alla più vicina stazione Namba della compagnia Nankai e da lì camminate per circa 3 minuti.
La fermata della metropolitana più vicina al Naniwaji è Ebisucho, della linea marrone (Sakai-suji). Non ci sono però mezzi che collegano questo tempio con il Daijōbō, perciò, se volte seguire il percorso che descrivo in questa passeggiata, dovete camminare circa 10 minuti verso Sud e, all’incrocio dopo la sopraelevata, girare sulla destra. Passerete davanti a un supermercato con un girasole su un’insegna gialla e, attraversato il semaforo, sarete nella stradina del Naniwaji.
possiamo vedere una foto della pagina marcata dal monaco?
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Certamente! La aggiungo all’articolo.
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