
Incendi, terremoti, guerre. Quello che rimane della Ōsaka del passato sono dei pezzetti di carta e di cenere che l’aspirapolvere del tempo non è riuscita a rimuovere; ritagli del passato simili a guerrieri assorti, o ad animali silenziosi che ti spiano da sotto il fogliame. Io li vado a cercare, pedalando sulla china del Uemachi daichi 上町台地 – l’altopiano che si è formato nei secoli dai detriti dei fiumi Yodo e Yamato1. Detriti. La parola mi fa venire in mente il rumore lontano delle macerie asportate da una ruspa. Esatto, credo sia proprio questo il suono che attribuisco alla salita di Uemachi, come se sulla sua gobba rotolassero continuamente pietre e cemento. Immersa in questa eco lontana continuo a pedalare, finché a un angolo della strada compaiono il relitto di un grande tronco d’albero e un minuscolo tempio annunciato da una fila di torii. Qualche metro più avanti incontro l’Enjuan.
Tempio n.15, Enjuan 圓珠庵
Uno sguardo rapido mi basta a collocarlo nella mia personale categoria “ripostigli”, quella dei templi dall’aria trasandata e selvatica. Il giardino è pieno di attrezzi da lavoro e bustoni di foglie ammucchiati qua è là, mentre nelle teche si accalcano statuette di Jizō 地蔵, offerte di yogurt, dolcetti, latte, snack. Accumuli di cose, polvere…neanche nella chiesa più umile ho visto il disordine di certi templi di periferia dove l’estetica sembra gestita con un’ alzata di spalle. Ne resto affascinata.


Mi siedo a leggere la guida. La storia narra che durante l’assedio di Ōsaka (1614), il capo delle truppe, Sanada Yukimura, seppe che in questo luogo si venerava un albero sacro. Vi andò a pregare, conficcando un falcetto nel tronco, e riportò in seguito una vittoria. Ancora oggi, in memoria dell’episodio, nel recinto del tempio è custodito un albero puntellato da piccole falci e delimitato dallo shimenawa – la corda di canapa e paglia con cui si cingono i luoghi sacri. Mentre leggo, il via vai di fedeli non smette un attimo, chi prega davanti all’albero, chi lascia un’offerta: a quanto pare il tempio, nonostante la sua aria dimessa, gode di un certo rispetto. Mai giudicare un libro dalla copertina.
Tempio n. 14 Rokudaiin, 六台員
La tappa che segue si trova esattamente sull’altro lato della strada, in un punto in cui inizia una bella discesa in pavé. L’inserviente, quando mi vede entrare, mi rivolge un saluto fugace e scompare negli alloggi. Non devono ricevere molti visitatori da queste parti, deduco. Del resto l’unico padiglione è chiuso al pubblico e il cortile è un fazzoletto di terra senza particolari attrattive. La sola nota curiosa che trovo nella guida riguarda una statua di Jizō: si dice diventi pesante, se sollevata da una persona con una malattia grave, e leggera se sollevata da una persona con una malattia lieve. Sorrido, non desidero mettermi alla prova, concludo velocemente la visita e mi avvio al prossimo tempio.
Tempio n. 12 Kōtokuji 高徳寺

Trovo il Kōtokuji qualche strada più in là, avvolto nella quiete pomeridiana; davanti all’ ingresso scende un leggero pendio dove passeggiano alcuni sparuti visitatori. Nel silenzio, la targa commemorativa sul lato opposto della strada dispiega la sua voce: «Ōsaka subì un lungo assedio. All’epoca, Tokugawa Ieyasu aveva fatto di Edo (Tōkyō) la capitale e aspirava a una pace duratura. Solo il clan Toyotomi, insediato a Ōsaka, minacciava il suo potere. Ieyasu dunque schierò tutte le proprie forze contro gli avversari, attaccandoli per ben due volte, durante la campagna d’inverno (1614) e durante la campagna d’ estate (1615), finché la città cadde.» Il castello si trovava in cima all’altopiano di Uemachi, esattamente dov’è adesso, mentre gli accampamenti alleati del clan Toyotomi erano disposti grosso modo dove cammino ora. Mi fermo a respirare la storia. Che cosa sarebbe accaduto se Toyotomi Hideyori avesse avuto un numero di alleati sufficiente a vincere la guerra? Sarebbe stato poi in grado di inaugurare due secoli di pace come furono quelli del periodo Edo? L’accento del Kansai sarebbe diventato quello standard e viceversa quello del Kantō l’accento di provincia? Chi può dirlo. Sappiamo solo che non andò in questo modo e Hideyori, sconfitto, compì il seppuku, cioè il suicidio rituale, ponendo così fine alla sua vita e a un’intera epoca. Era il 5 giugno 1615.


In un periodo non meglio precisato della storia invece fu eretto il Kōtokuji (la documentazione relativa al tempio perì in un incendio e con essa la memoria della fondazione). Il santuario attuale è tutta la somma della grazia e della cura per i dettagli assente nei templi-rispostiglio: ci sono uno stagno limpido per le carpe, un’ imponente statua di Kannon 観音2 che si vede dall’ingresso e poi statue e statuette di ogni tipo. Gufi soprattutto, gli animali in grado di vedere nella notte e perciò di prevedere le sfortune; gufi ai bordi del laghetto, gufi appollaiati su una curiosa cassetta della posta. Mi avvicino e leggo : tenkū he no messēgi 天空へのメッセージ, messaggio al cielo. Vorrei imbucare una breve missiva, ma cosa scrivo? Cosa conta veramente? Ho sempre pensato che per far sì che un desiderio si realizzasse, dovessi trovare la formula esatta, abbastanza sintetica da poter essere detta nel baleno in cui cadeva una stella, ma che non trascurasse nulla. E adesso, su due piedi, non riesco a mettere a fuoco i pensieri. Mi allontano per riflettere e mi ritrovo nel cimitero sul retro. Le lapidi sono tutte decorate da fiori che hanno appena cominciato ad appassire: è trascorso da poco l’obon お盆, il periodo in cui gli avi tornano a visitare i vivi. L’estate volge al termine. Sollevo la testa, le nuvole passano spumose. Rimango per un po’ a guardarle con un velo di nostalgia. Quando torno indietro ho deciso: nel messaggio scriverò una promessa, perché non sempre, ma spesso, i desideri si realizzano attraverso la determinazione.

Tempio n. 11, Dondoro Daishi Zenpukujiどんどろ大師善福寺

E a proposito di determinazione, l’ora di pranzo è passata da un pezzo e fa caldo, ma procedo fino all’ultima tappa. Paragonato al Kōtokuj, il Zenpukuji appare austero. Per accedere alla sala delle cerimonie bisogna salire una scala ripida, cosicché per vederla, entrando nello stretto cortile, bisogna piegare il collo all’indietro. Salgo la scala. Il monaco mi firma il diario e mi racconta di aver compiuto in 40 giorni il pellegrinaggio degli 88 templi dello Shikoku -un cammino tra i più celebri. Gli dico del mio pellegrinaggio in città. Dopo la firma mi regala alcuni snack e una bevanda e mi lascia entrare a scattare qualche foto. La gentilezza inaspettata allevia un po’ la stanchezza. All’uscita mi colpisce la statua di bronzo di una mamma con bambino vestiti e acconciati in modo tradizionale. La scritta dice “punto di incontro di Oyumi お弓(arco) e Otsuru お鶴 (gru), mamma e bambino”. Arco e Gru? Per un po’ resto perplessa, poi da qualche angolo della memoria emerge il ricordo: si tratta di un’opera teatrale che narra di una separazione e ricongiunzione fra una madre, costretta a seguire il marito e ad assumere il falso nome di Oyumi, e una figlia, Otsuru, che cerca i genitori e alla fine li ritrova. E su questo “tutti vissero felici e contenti” mi pare giunta l’ora di tornare a casa.
LA MIA PROMESSA
Non importa quanto tempo dovrò impiegare, prometto di completare e documentare il pellegrinaggio di Settsu.
つづく…. Continua…
NOTE PER I CURIOSI
1. L’altopiano di Uemachi si estende dal Castello di Ōsaka e dall’area di Tenmabashi fino a Tennōji . Secondo gli studi il primo banco di sabbia si sarebbe formato nel V secolo a. C. e successivamente si sarebbero aggiunte quantità sempre maggiori di sedimenti. Attualmente il punto più basso dell’altopiano dista alcuni chilometri dal mare, ma in passato la vicinanza era maggiore e faceva dell’altopiano un ottimo punto di avvistamento e una roccaforte sicura. Pare che questa fu la ragione per la quale il comandante Toyotomi Hideyoshi la scelse come proprio quartier generale (1586 -1615).
2. Kannon è il bodhisatva della pietà e della compassione, in Giappone e in Cina per lo più rappresentato con tratti femminili. Si ritiene che il suo culto sia iniziato intorno al I sec. d.C. in India e da lì si sia diffuso nel resto dell’Asia. Nella scuola della Terra Pura, Kannon è un’emanazione del Buddha Amida ed è uno dei due suoi più importanti assistenti – l’altro è Seshi. La triade si trova spesso rappresentata con Amida al centro, Seishi a sinistra, simbolo di saggezza, e Kannon a destra, simbolo di compassione. Kannon è anche una delle 25 divinità che scendono insieme ad Amida per accogliere le anime dei defunti nel paradiso della Terra Pura.
INDICAZIONI PRATICHE ESSENZIALI

Tutti i templi di questa passeggiata sono molto vicini e si possono visitare a piedi. Scendete alla fermata Tamatsukuri (Jr loop line, oppure linea verde Nagahori tsurumiryokuchi ) e camminate per una decina di minuti fino al tempio numero 15.
Mi hai fatto respirare un brandello di storia lontana nel tempo e dal nostro mondo,immersa in un’atmoséra rarefatta e surreale,descritta inmaniera precisa e puntuale…
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“il disordine di certi templi di periferia dove l’estetica sembra gestita con un’alzata di spalle” 🤣🤣🤣🤣 descrizione efficace e esilarante!
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Il viaggio in Giappone, come tutti i viaggi, è fatto di molti livelli. Uno dei fili conduttori che seguo da sempre, proprio perché mi diverte e un po’ mi stupisce, e quello del disordine e dell’aria spettinata che hanno luoghi dai quali ci si aspetterebbe un look impeccabile. Ristorantini, piccoli caffè, templi, stazioni sistemati come capita, nel tempo che c’è fra una faccenda e l’altra. A quanto pare è una prassi accettata, perché mai ho sentito gli avventori e i frequentatori lamentarsene. Paese che vai….
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Anche questa passeggiata, pur se più breve delle altre, risulta interessante. Complimenti per lo scritto sempre fluido, accompagnato da opportune note e piacevole da leggere.
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