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Cose perdute e cose che nascondono altre cose

Premessa

La scrittura inizia con la gioia per la scrittura in sé, l’amore per quel percorso che fa diventare profondo un dettaglio e lontano un luogo vicino, perché raggiungerlo attraverso le parole richiede giorni interi, viaggi a piedi e su ruote, navigazioni nella rete e tra le numerose pagine che,  prima di quelle che forse arriveranno, lo hanno già esplorato.

Photo di Pixabay su Pexels.com

Per questo, quando un paio d’anni fa, dopo una gita all’inceneritore sull’isola artificiale di Maishima scrivo un pezzo, il risultato che ottengo assume per me un grande valore affettivo. Archivio l’articolo e, in attesa di decidere cosa farne, finisco incredibilmente  per perderlo. Lo cerco ovunque, computer, chiavette, file cartacei, spero di averlo spedito via email, ma nulla. Sparito, puff, in un buco nero, nel triangolo delle Bermuda, in una dimensione ormai irraggiungibile. Allora qui scrivo per ricordare, ma anche per il piacere di raccontare una storia che pur essendo uguale, cambia ogni volta che vi si fa ritorno.

Cose che nascondono altre cose

Arrivando a Ōsaka dall’aeroporto del Kansai due grandi torri catturano lo sguardo; una è blu, l’altra è azzurra e venata di rosso. Entrambe portano sul capo una cupola dorata e presidiano due cittadelle dalle mura merlate. Sembrano emerse dal paese delle fiabe e scorgendole potreste provare la piacevole inquietudine di entrare in quell’ universo antico, tramandato di bocca in bocca e di penna in penna, cantato e illustrato in infinite forme per insegnare ai piccoli, divertire gli adulti ed incantarli entrambi. A quale scopo le torri siano destinate per ora resta un mistero, ma già vi sentite attratti dalla storia che stanno raccontando. Ed è per ascoltarla da vicino che, in un giorno di primavera inoltrata, vi mettete in viaggio.

Alla fermata di Taishō l’autobus si lascerà un po’ desiderare per poi finalmente fare capolino. Prima di partire avete preso informazioni e siete venuti a conoscenza del fatto che le due torri e gli edifici adiacenti sorgono sull’isola artificiale di Maishima e nascondono un impianto per lo smaltimento dei rifiuti. Nel dondolio dell’autobus ci ripensate, cercando di conciliare l’idea della monnezza con il mondo delle fiabe, ma a destinazione vi ritrovate in una landa semideserta, un centro sportivo e qualche altro edificio sorto nel mezzo del nulla, dove la magia intravista da lontano svanisce in un istante. Un luogo in cui lo smog avvolge tutto e l’unico suono che ricorda la presenza umana è quello dei camion che passano interrottamente. In questo clima arido forse vi muoverete riluttanti, ma immaginiamo comunque che decidiate di andare verso la ciminiera blu, quella che personalmente ho rinominato “il palazzo dello sceicco” e che nel paesaggio stralunato di Maishima sembra un’opera d’arte in esilio.

Lungo tutto il fianco sinistro dell’edificio corre un placido giardino, un corridoio rettangolare abbastanza ampio con alcune panchine, delle siepi, una fontana, un minuscolo corso d’acqua e un gazebo. Ci entrate e scoprite un incanto di mosaici, smalti brillanti e colonne panciute o sinuose di ogni colore. Forse l’insieme da lontano vi aveva fatto pensare ad un parco a tema con le pareti di cartapesta e cartongesso, plastica e lamiera ovunque, eppure l’aspetto leggermente selvatico del giardino e i materiali pregiati vi dicono che siete nel mondo reale. All’estremità del parchetto, girando a destra, la vegetazione si farà più fitta, il rumore della strada più lontano e vi sembrerà di trovarvi in un impianto poetico, come una fabbrica dismessa e ripopolata dalla natura. Guardate ora verso l’alto e camminate: le colonne appuntano come spilli una balconata color senape rigogliosa di piante, il muro all’ingresso (dello stesso giallo senape) si spezza come un biscotto, finestre come occhi e forme incastrate una dentro l’altra si muovono e respirano. Passeggiate, riposate, immergetevi in questa nuova lingua dell’architettura e quando siete pronti, passate a visitare “il castello del re”, l’edificio gemello che sorge sull’altro lato della strada.

Se l’attrazione del palazzo dello sceicco è la grande torre color lapislazzuli, si direbbe che il sovrano dirimpetto, vedendola sorgere, abbia chiamato a raccolta i propri consiglieri per conferire alla sua dimora una aspetto ancora più sorprendente. E così, sulle mura del castello, la fantasia di un cappellaio matto ha costruito una parete di pasta di zucchero, sovrapponendo una torretta color corallo ad una scacchiera, e tanti biscotti glassati sui quali scende una crema al limone. Divertitevi ad esplorare il cortile per tutto il tempo che desiderate: in ogni angolo troverete dettagli che vi lasceranno a bocca aperta, infondendovi il buon umore. Infine, completamente riconciliati con l’ambiente di Maishima, che all’inizio vi era parso inospitale, varcate la soglia dell’edificio.

Venite accolti da un signore educato che vi conduce in una stanza dove vi illustra, attraverso una serie di grafici e modellini, l’ingegnoso sistema di smaltimento dei rifiuti di Ōsaka. La raccolta inizia ogni mattina con il passaggio casa per casa dei camioncini colorati della spazzatura e della loro musichetta inconfondibile – se avete soggiornato da queste parti dovreste averli sentiti. Alcuni di questi vengono a scaricare il loro contenuto all’inceneritore di Maishima dove, durante la combustione, qualcosa si volatilizzerà e dovrà essere filtrato prima di entrare nell’aria, qualcosa invece precipiterà e verrà stoccato infondo al mare da cui, un giorno, sorgerà una nuova isola artificiale. Non so che effetto vi faccia saperlo. Personalmente inorridisco, spaventata all’idea dell’impatto violento che tutto questo avrà sul Pianeta, eppure non riesco a dire nulla: so che non sarei comunque in grado di arrestare la scia immensa di rifiuti che ogni individuo lascia dietro di sé. Mi limito a stringermi nelle spalle mentre il giro prosegue in una parte dell’edificio dove non si sente veramente un cattivo odore, ma nemmeno uno buono. Da dietro a una grande vetrata si vede una cisterna enorme che inghiotte tonnellate di spazzatura rimescolate di continuo, o meglio ruminate, da un gigantesco braccio meccanico. La scena ha qualcosa di epico. Capite che nessun essere umano potrebbe entrare lì dentro e che vi trovate in una zona di confine fra la vita e i prodotti di scarto della vita, fra la terra abitata dall’uomo e quella popolata da altre cose o creature. In effetti questo è il cuore e il segreto dell’intera la struttura: la transizione e la trasformazione perpetua della materia, sia essa reale – i rifiuti all’interno – o appartenente al mondo dell’immaginario – il castello delle fiabe all’esterno. Le due cose stanno in continuità. La materia offre lo spunto iniziale, concede permessi o pone limiti alla propria trasformazione in base alle sue regole di funzionamento, la mente tenta un’interpretazione dei fenomeni e cerca soluzioni, oppure inventa, laddove non ci sono spiegazioni logiche. La visita ha raggiunto il suo apice. Da qui in poi ricevete ancora alcune informazioni aggiuntive sull’ecosostenibilità dell’impianto, e intanto venite condotti per passaggi coperti e corridoi esterni fino ad una grande terrazza e “a riveder le stelle”. La vegetazione, l’aria e la vivacità dei colori all’esterno vi rinfrancano, mentre cominciate a meditare su quanto avete visto. A me non resta che salutarvi, affidandovi alle parole di Friedensreich Hundertwasser, l’artista ideatore dell’impianto di Maishima.

Da quando ci sono urbanisti indottrinati e architetti standardizzati, le nostre case sono malate. Non si ammalano, sono già concepite e costruite come case malate. Tolleriamo migliaia di questi edifici, privi di sentimento ed emozioni, dittatoriali, spietati, aggressivi, sacrileghi, piatti, sterili, disadorni, freddi, non romantici, anonimi, il vuoto assoluto. (…) È sufficiente riconoscere il diritto della finestra, ricoprire di vegetazione il tetto, lasciar crescere l’edera, dare ospitalità agli alberi-inquilini, se si lasciano danzare le finestre, dando loro forme diverse e introducendo quante più irregolarità possibili sulle facciate e negli interni, la casa può guarire. La casa inizia a vivere. Ogni casa, per quanto brutta e malata, può guarire.

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