Un pomeriggio, agli inizi della permanenza a Ōsaka, vado a salutare la vicina, che è anche la mia padrona di casa. Uso la porta laterale di alluminio, quando si apre fa un piccolo click e mi immette nello spazio stretto fra i due caseggiati. I muri sono coperti di lamiere e fra le crepe del suolo spunta qualche filo d’erba. Mi dà un piacere immenso attraversare questa specie di passaggio segreto, è come se nel silenzio, dove si affacciano solo i retri delle abitazioni, la città mi appartenesse. Busso e appena Yoriko risponde, socchiudo la porticina di servizio che raramente è chiusa dall’interno. Il Giappone è proprio un Paese sicuro, penso. Le persone vivono in tutta tranquillità sotto tetti bassi da cui è facile scendere e salire, e dietro porte scorrevoli con serrature a scatto, che si potrebbero buttare giù con una spallata. A volte mi sembra che per questa gente il solo fatto di appartenere alla comunità costituisca uno scudo protettivo.
Trovo Yoriko circondata da altre signore e due bimbetti, sul pavimento pezzettini di nastri e tessuti decorativi. «Mina-san, lei è Gabu-chan. E loro sono Kotani-san, Ueto-san e Yanagi-san. Abbiamo appena finito», mi dice sbandierando un alberello di Natale. «Secondo te questo a quanto si vende?» Butto lì un «1000 yen?» «Ma come 1000? Ne vale molti di più! Da Hankyu si trovano a 4000, ma noi ne abbiamo realizzato uno per soli 2000. Ed è un pezzo unico!» Le altre assentono soddisfatte. La signora più anziana domanda di dove sono. «Italiana», fa Yoriko. «Ah, è lei la ragazza italiana!», poi rivolgendosi a me continua: «Le piace il Giappone?» «Si certo, signora», sorrido. «Bene! Venga, guardi, lui è Rihito-kun, mio nipote.» Su un triciclo sta un uomo in miniatura che tace. «Quanti anni hai?», provo a dire. «Tre», mi risponde la nonna, e poi, di nuovo rivolta al nipote, «Rihito-kun, domanda a Gabu-chan quanti anni ha.» Il bambino, incalzato dalla situazione, mi guarda in egual misura attratto e spaventato. Anch’io mi sento un po’ a disagio: è il primo bambino giapponese con cui mi trovo faccia a faccia e non so né cosa dirgli, né tanto meno come dirglielo nella sua lingua. Come se non bastasse, in questa stanza un po’ umida e in penombra, mi sento gli occhi di tutti puntati addosso e credo che le donne siano molto più curiose del bambino di sapere se il mio viso tradisca per eccesso o per difetto la mia età. Mi viene un’idea: «Anch’io ho tre anni» dico. Rihito-kun sgrana occhi e bocca. Ha un’espressione talmente esilarante che scoppiamo tutte a ridere, mentre per qualche attimo il suo sguardo incredulo continua a passare da me, alla madre, alla nonna.

Poi, forse stufo di questo codice da adulti, si alza, mi prende per mano e mi porta a vedere il suo nuovo giocattolo. Siamo amici, penso, è andata bene. La settimana successiva però devo ricredermi. Yoriko mi riferisce che la madre di Rihito-kun è preoccupata: il bambino è così ossessionato dal paradosso dell’adulta con l’età da bambina che le chiede ogni giorno spiegazioni. Il problema è di natura morale. Lei gli ha insegnato che le bugie non si dicono e che i grandi sono un esempio da seguire. Come giustificare allora le mie parole? A quanto pare ho fatto proprio un bel pasticcio e così, da lì a una settimana, mi ritrovo a formulare le mie prime scuse ufficiali in Giappone. Nel giorno convenuto, in occasione del bonenkai1, e alla presenza della madre, Yoriko comunica a Rihito-kun che ho mentito, perciò sono stata cattiva e adesso dirò la verità. A quel punto ammetto la mia colpa e confesso il reato di maggiore età. Non sono certa che il piccolo capisca e, personalmente, comprendo solo in parte il sistema di valori e la lingua di “questi adulti”, comunque sia, conclusa la faccenda, mi siedo a sgranocchiare patatine. Ma ecco Rihito-kun che torna alla carica: «Quanti anni hai?» «Quaranta, bambino mio.» Ci pensa un po’ su, apre la mano e mi fa: «Allora hai cinque anni?» Rido e mi arrendo alla mia inadeguatezza. «Certo!» rispondo. Cinque forse è il numero più grande che conosce, quello con cui comunque descrive chi è più grande di lui. Per il resto una cifra vale l’altra, tanto in realtà non ha alcun senso. Beh, mi consolo, in fondo si tratta di una mezza verità: quaranta è un multiplo di cinque.
In copertina foto di Владимир Васильев da Pexels
- I bonenkai 忘年会, “riunioni per dimenticare l’anno”, sono feste che si fanno fra amici, colleghi o con i clienti, per salutare l’anno che si sta concludendo. Ne parlo brevemente anche in questo articolo
abbiamo sempre un’età che è multiplo di cinque. mi piacerebbe avere la stessa ingenuità di Rihito-kun
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Sei un genio!
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Grazie ( ◠‿◠ )❤️
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