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Sky Building e bunjee jumping

Lo Sky Building è stato un estraneo presente nella mia vita  per anni. Un giorno ho pensato che avrei voluto dedicargli un pezzo e mi è venuta la geniale idea (non proprio geniale visto com’è andata a finire)  di un immaginario bungee jumping dalla terrazza panoramica. Il punto è che quando ho un’ispirazione possono succedere due cose: o le parole iniziano a scorrere a fiumi e tutto va per il meglio, oppure tra l’impulso  e l’azione si apre come una voragine di quelle che improvvisamente squarciano il suolo e che la scienza non ha ancora spiegato. Io la chiamo “ansia bloccante” e lo Sky Building è il suo caso esemplare.   Non posso descrivere il senso di frustrazione che ho provato le migliaia di volte che l’ho visto scivolare accanto a me dai sedili della loop line, quando camminando ho alzato lo sguardo e me lo sono ritrovato improvvisamente davanti, oppure quando mi sono fermata intenzionalmente a scrutarlo con uno sguardo di sfida. Tutto l’edificio è diventato psicologicamente inaccessibile, il memento severo delle cose che desidero dal profondo del cuore ma non riesco a raggiungere, delle cose  che continuo a rimandare e della felicità con esse.

Devono essersi sentiti così gli scalatori del K2. Scrivere in fondo non è molto diverso dal conquistare una vetta: bisogna trovare la via d’accesso, a volte si resta bloccati ad un passo o si viene colti dal maltempo e si è costretti a rinunciare, le risorse mentali finiscono e l’inerzia si impossessa di te quando scendi a valle. Non  è che non ci abbia provato, al contrario, ho fatto tutto quello che dovevo per prepararmi alla scrittura: sono salita sulla terrazza panoramica, ho preso appunti, mi sono immaginata la vertigine di saltare nel vuoto, la discesa in picchiata, la vista dei piani che ti scorrono davanti come un treno, la tensione della corda, il rimbalzo, il cuore che ti arriva nello stomaco. Ma niente, il maledetto pezzo non è venuto fuori.

Una settimana fa all’incirca però qualcosa è improvvisamente cambiato. Ho capito che rimandare ancora non avrebbe reso il prodotto finale migliore e che dovevo buttarmi e basta, senza pensare. In men che non si dica ho prenotato una camera all’ultimo piano dell’Hotel Monterey ed è da qui che stamattina apro la finestra e mi affaccio: il cielo è terso, i grattacieli di Umeda bucherellano l’aria come funghi, lo Sky Building è là, un po’ isolato dal gruppo, ma visibile. Non so se assomigli più a una montagna che galleggia tra le nuvole, oppure a una nuvola adagiata sull’asfalto, ma so per certo che oggi è il giorno giusto per tentare l’avventura. Posiziono il computer sulla scrivania davanti alla finestra, lo apro e mi metto al lavoro; allo stesso tempo mi stacco dal mio corpo e mi incammino verso la meta come in una scena a rallentatore, il ticchettio delle mani sulla tastiera sempre più distante, gli occhi socchiusi, in preda al batticuore.

Quando arrivo ai piedi dell’edificio mi godo per un attimo la vista dal basso, la parete specchiata che svetta in perpendicolare  su su fino in cima e si  frastaglia. Poi supero la soglia, mi avvio alle casse e mentre pago devo reprimere una risata e concentrarmi: sto per realizzare il mio sogno, ma nessuno sa del salto che voglio fare, perciò avrò pochi attimi prima che provino a fermarmi. Se vi state  chiedendo come sia possibile che nessuno conosca le mie intenzioni, mettiamola così, il senso di liberazione che associo al bungee jumping è amplificato dall’idea di fare una cosa proibita. E se state pensando che non serviva citare l’illegalità dell’azione, perché nella finzione sarebbe rimasto un dettaglio trascurabile, io vi rispondo che avevo la necessità di esplicitarlo. Sono proprio questi i tranelli della scrittura, le ragnatele che ti impigliano: è vero che si può dire più o meno ciò che si vuole, ma poi bisogna assicurarsi che abbia un senso anche per chi legge! E si finisce per aggiungere e togliere dettagli per ore, limare una frase per giorni, contemplare un paragrafo scuotendo la testa all’infinito, mentre magari si vorrebbe passare al progetto successivo.

Ma dove eravamo rimasti? Ecco si, prendo l’ascensore al terzo piano, mi stringo in silenzio fra gli altri visitatori, scendo al trentacinquesimo e percorro con la scala mobile gli ultimi quattro piani che mi separano dell’osservatorio, attraversando il tunnel sospeso al centro dell’edificio. Poi finalmente sono all’aperto , respiro, non c’è più nulla da attendere, e prendo la riconcorsa verso il centro della terrazza. Naturalmente gli uomini della sicurezza mi notano subito e si lanciano all’inseguimento, ma appena prima che mi raggiungano riesco ad appoggiare le mani sulla balaustra, mi do la spinta e scavalco1. Dall’altra parte c’è la piattaforma di lancio dove gli addetti che mi aspettavano mi fanno ampi cenni di avvicinarmi. Le guardie si affacciano, non sapevano che ci fosse una pedana per il bungee jumping lì, nessuno lo sapeva, a parte me. Qualcuno di loro è affascinato da questa inaspettata rottura degli schemi, lo sento, e sono attimi preziosi di cui approfittare prima che decidano di intervenire! Vengo aiutata in fretta ad indossare l’imbragatura come al pit stop del Gran Premio, ogni frazione di secondo fa la differenza fra il successo e il fallimento, fra l’essere primi o l’essere acciuffati.

Tremo, a un passo dalla vittoria non voglio che la security mi arresti, ma ho una paura ancora più grande, quella di un incidente. So che l’elastico è fatto per reggere in sicurezza mille salti, ma che viene sostituito ogni duecento, so che ha una certa costante elastica, fatta apposta per darmi l’ebbrezza del rimbalzo, so che la caduta libera prima della tensione della corda durerà pochi secondi e che, se l’elastico agganciato alle caviglie si dovesse spezzare, entrerà in azione il cavo di sicurezza. Ma ho una fottuta paura lo stesso. Io che tremo, gli uomini della sicurezza che si agitano, gli addetti al lancio che assicurano il meccanismo e mi chiedono se sono pronta, io che scrivo… Sono cose che avvengono nello stesso istante. «Nella vita succede tutto contemporaneamente»  dice Marguerite2, la protagonista dell’omonimo  romanzo, «nei libri invece si procede per successione, come se le cose accadessero in sequenza, ordinatamente e non insieme».

Mi sporgo terrorizzata, il vento ulula, vorrei tornare indietro, ma  non è previsto che possa farlo: mi devo liberare da ciò che ha frenato per anni l’immaginazione, non esiste più alcun motivo valido per non saltare, per non volare. E allora lo faccio, apro le braccia a forma di croce e al termine del count down mi lascio cadere nel cerchio dello Sky Building. L’impatto con l’aria è violento e in pochi attimi mette a nudo i sensi di colpa, la vergogna, il giudizio, i pensieri ricorrenti. Intuisco la morte (in fondo potrebbero essere gli ultimi istanti della mia vita) e lo spreco che ho fatto del tempo.  Chiudo gli occhi, vorrei avere una via di scampo dalla caduta libera, dalla terapia d’urto del guardare dentro me stessa con tanta chiarezza. Poi la corda si tende e ho un sussulto, rimbalzo, sono viva, mi scappa un urlo di gioia, poi di ilarità come quando sei sulle montagne russe e sai che stai andando incontro a quella sensazione pazzesca di vuoto nello stomaco, ma non puoi comunque fermare il treno. Cado di nuovo e di nuovo l’elastico si tende e mi tira su. Rido e piango di felicità. Non è stato niente, nessuno dei dolori che ho provato è mai stato mortale, posso aprire gli occhi, molleggiare a testa in giù tra i cristalli azzurri dello Sky Building, rimbalzare e godermi questa vertigine pazzesca, senza più freni. Ho chiuso i conti con te, con ciò che ho finito per farti rappresentare, con ciò che ho voluto farti diventare. La montagna è scalata, sto volando fra le nuvole. Non sapevo cosa avrei scritto finché non mi sono buttata e l’ho fatto, adesso ho capito. Pian piano mi risveglio, torno a sentire i suoni, vedo le mani che picchiettano sulla tastiera, sento l’aria fresca sulla faccia e saluto con il capo il mio K2.

Aprile 2020

1. Per la cronaca nella realtà l’intero osservatorio è completamente protetto da una vetrata ed è impossibile scavalcare la balaustra come dico di aver fatto. Inoltre quasi certamente non ci sarebbe lo spazio sufficiente per garantire un rimbalzo in sicurezza, data la  presenza della struttura metallica che riveste la scala mobile che porta su in cima. Ma naturalmente non è di questo che stavo parlando.  

2. Marguerite è uno splendido romanzo di Sandra Petrignani, ispirato alla biografia di Marguerite Duras.

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