Pellegrinaggio 88 Templi Settsu

Gli 88 templi di Settsu, diario di un pellegrinaggio. Giorno 1, Parte 1

Una città non si finisce mai di conoscerla. Tre settimane fa uno studente mi ha mostrato la mappa del pellegrinaggio di Settsu, tutte le tappe comprese fra Ōsaka e Kobe, 88 santuari che sono stati sotto il mio naso per quattro anni senza che ne sospettassi l’importanza (e in alcuni casi l’esistenza). In quell’istante ho provato una gioia immensa, come se avessi messo le mani sulla mappa del tesoro. A sera ho fatto una rapida navigazione sul web. Si tratta di un pellegrinaggio buddista “minore” che risale alla metà del 1700, di cui ben 40 tappe sono a non più di un’ora da casa: mi sento una donna fortunata. Cosa mi aspetta ? Storie, leggende, monumenti, persone? Chi può dirlo? Del resto la meta è solo un pretesto.

Domenica. Il primo giorno  mi ripropongo di partire entro le 10.00 e infatti eccomi alle 10.30 ancora seduta allo Starbucks davanti a un matcha latte (continuo a provarci, ma la mattina è una battaglia persa). Giro la mappa a destra e poi a sinistra, come sempre in difficoltà davanti alle carte geografiche. Finalmente, facendomi strada fra le fitte e misteriose nebbie delle quattro direzioni, individuo tre templi che in linea d’aria sono alla stessa altezza del caffè: è fatta, mi basterà uscire e andare a sinistra, sempre dritto.

Prima tappa (mancata!), Mitsutera三津寺, tempio n.2 

Vediamo un po’, secondo quelli che erano i miei calcoli, il navigatore mi sta conducendo un po’ fuori rotta, ma è una splendida giornata di sole e non dubito che il “suo” senso dell’orientamento sia migliore del mio. All’ incrocio fra Midōsuji e Sennichimae svolto a sinistra e  dopo cinque minuti incontro una recinzione di marmo lucido davanti alla quale sono passata almeno un migliaio di volte (ora che ci penso non  l’ho mai veramente presa in considerazione). Nella parte superiore c’è una sorta di pannello nero con dei quadretti metallici che raffigurano dei Buddha, ognuno forma una mudrā 1diversa con le mani. Giro attorno alla struttura e mi trovo inaspettatamente all’ingresso di un cimitero, secondo il navigatore sono arrivata a destinazione. Ma come, i cimiteri fanno parte dei pellegrinaggi? Sono sinceramente perplessa, però, se lo dice “lui”, così sia. E varco la soglia del regno dei morti. 

Generalmente le lapidi in Giappone sono dei semplici parallelepipedi o degli stūpa2 di pietra  alti una cinquantina di centimetri, piccole steli grigie o marroncine che se disposte vicine ricordano la forma frastagliata di certi minerali. Passeggio, scorro le date e i nomi dei defunti — non sempre di  facile lettura— fra le tante scovo la tomba di un ignoto, tutto intorno una quiete relativa e nella zona in fondo a destra delle statuette di  Buddha disposte a piramide e coperte con le mantelline di Topolino, Minnie e Paperino. Potrebbe sembrare uno scherzo, ma è usanza decorare le tombe dei bambini con girandole e statuette a cui si mettono cappelli e bavaglini colorati. Sollevo lo sguardo, sulla sopraelevata le  macchine e i mezzi pesanti passano ininterrottamente. Da questa prospettiva il tempo mi pare uno specchio rotto in mille pezzi: lo stesso istante equivale a miliardi di istanti, a miliardi di luoghi, a miliardi di forme di vita.    

Seconda tappa, Hōanji Nanbō 法案時南坊, tempio n.1 

Il cimitero mi ha messo un po’ di tristezza, perciò mi incammino volentieri verso la prossima tappa, l’Hōanji, il tempio segnato con il numero 1 e inizio ufficiale del pellegrinaggio. È stato ricostruito nel dopoguerra, ma la sua tradizione millenaria risale a un tempo quasi mitico in cui il principe Shōtoku inviava spedizioni in Cina per approfondire le conoscenze del buddismo.

Entro in questo angolo di storia, il complesso è molto piccolo, ma meravigliosamente ricco di particolari che a poco a poco si svelano davanti ai miei occhi. Sulla linea del portale d’ingresso c’è un incensiere che copre in parte il padiglione retrostante; si intravedono dei drappeggi brillanti e sulla veranda un mobile antico con tanti minuscoli cassetti che mi ipnotizzano. Cosa contengono? E se li aprissi? Sono tentata, ma non oso. Per distrarmi rivolgo lo sguardo a destra dove, in un padiglione più discreto, è collocata la statua di una figura che suona il biwa, il liuto giapponese. Riconosco Benzaiten 弁財天, la divina, unica donna dei shichifukujin 七福神 —sette dei della fortuna3— conosciuta in India come Sarasvati, divinità fluviale, “colei che scorre”, come le parole, la musica, la pittura, e perciò dea della bellezza e delle arti. Accenno un saluto, porterò con me, lungo il cammino, il suo sorriso e la sua forza creativa.

Intanto alla reception una donna, placida come una tartaruga millenaria, attende gli eventuali fedeli. «Buongiorno, vorrei ricevere il timbro del tempio.» «Aspetti qui per favore», mi dice, e si allontana. Rimasta sola passo in rassegna gli amuleti in vendita e con mia sorpresa noto sulla stessa mensola una ciotola e una fotografia. A quanto pare il tempio, insieme ai più profondi segreti della dottrina Shingon, ospita anche un gatto di nome Shinchan. Oggi non si fa vivo, peccato. Gli lascio comunque una donazione per la pappa nell’apposito cestino. Ma ecco tornare la signora con un uomo che indossa una tuta blu da lavoro. Poco fa stava montando una lampadina. È davvero lui il monaco? Gli porgo con qualche tentennamento il goshuinchō ご朱印帳, il diario sul quale si raccolgono tappa per tappa il timbro e la scritta calligrafa recante il nome del santuario, la data ed eventuali messaggi ben auguranti. Sotto i miei occhi perplessi inizia a tracciare delle linee sinuose che sembrano danzare sul foglio. Prima che me ne accorga mi riconsegna il quaderno.

Terza  tappa, Takatsuzan Hōonin 高津山 報恩院,  tempio n. 21

All’ingresso di questo santuario c’è una scritta che recita a caratteri cubitali: 摂津国八十八ヶ所巡礼, pellegrinaggio agli 88 templi di Settsu. L’inquadratura della porta incornicia il gruppo centrale costituito dalle vestigia di un antico albero di canfora incendiato durante il bombardamento del 1945 e vegliato, a Nord e a Sud, da due statue di Fudō-san —il più importante dei cinque re guardiani, protettori delle cinque virtù emanate dal Buddha4. Ha lo sguardo minaccioso, come si addice a un guardiano celeste, in una mano porta la spada con cui recide l’ignoranza e nell’altra una corda per catturare i demoni. Raccolgo anche la sua energia, ho idea che, come il sorriso di Benzaiten, mi tornerà utile durante il viaggio. Nel piccolo recinto un monaco sta piegando e intrecciando abilmente quelli che sembrano degli shide, le strisce di carta ondulate dell’onusa, la bacchetta usata nello scintoismo per scacciare le impurità. Perché a farlo sia un prete buddista resta un mistero. Si volta per un istante e mi sorride. Provo un timido approccio. «Sa, oggi ho cominciato il pellegrinaggio agli 88 templi.» «Davvero? Grazie mille, di solito non riceviamo molti stranieri, da dove viene?» «Italia, ma sono qui ormai da qualche anno. Posso domandarle una cosa?» Assente con il capo. «Il Mitsutera è un cimitero? La mappa mi ha portata lì stamattina.» Sembra un po’ perplesso, osserva la cartina, gli mostro le foto che ho scattato e mi spiega: «Vede, la mappa effettivamente indica per sbaglio non il tempio, ma il cimitero che gli appartiene.» Mistero chiarito. Mi tocca tornare sui miei passi: i viaggi raramente si sviluppano in linea retta.

つづく…. Continua…

Note

1 Le mudrā sono posizioni simboliche delle mani che rimandano la mente ad alcuni concetti chiave della dottrina buddista e aiutano nella meditazione.

2 Lo stūpa è un monumento buddista di origini indiane, generalmente a forma di pagoda, destinato principalmente a conservare le reliquie. 

3 Si tratta di un gruppo eterogeneo di divinità di cui tre provengono dalla Cina (Fukurokuju, Jorōjin, Hotei), altre tre dall’ India (Daikokuten, Benzaiten, Bishamonten) e la settima, Ebisu, è l’unica autoctona. Si dice che nei primi giorni dell’anno si trasformino in marinai e scendano dal paradiso a bordo di una nave, portando agli uomini ricchezza e buona sorte.

4 Le cinque virtù combattono invidia e gelosia, egoismo, orgoglio, violenza e aggressività e sono rappresentate dai cinque Grandi Buddha.  La stratificazione di tradizioni, interpretazioni e simbologie nelle scuole buddiste è affascinante quanto complessa. Centrale è il concetto di unità del Buddha, cioè della verità o legge (dharma) e delle sue emanazioni in corpi, corrispondenti a concetti cardine della dottrina e ai vari stadi del percorso spirituale. In particolare i cinque re guerrieri sono presenti nel buddismo Shingon, corrente esoterica sviluppatasi in Giappone nel IX secolo d. C..

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Informazioni pratiche essenziali

La  mappa del pellegrinaggio è visibile qui http://shj.main.jp Il sito è solo in lingua giapponese.

Il cimitero collegato al tempio Mitsutera è raggiungibile con diversi mezzi. In metropolitana: fermata Namba (varie linee), oppure fermata Nipponbashi della linea rosa (Sennichimae-sen) e della linea marrone (Sakaisuji-sen). In entrambi i casi l’uscita è la B25 che trovate lungo la Namba Walk, la galleria commerciale sotterranea che collega le due fermate. In alternativa prendete la linea ferroviaria Kintetsu e scendete a Nipponbashi, uscita 5.

L’Hōanji Nanbō (tempio n.1) dista dal cimitero solo cinque minuti a piedi. Tornate sulla strada principale (Sennichimae) e, spalle al cimitero, proseguite fino al grande incrocio (tra Sennichimae e Sakai-suji). Girate a sinistra e continuate dritto, attraversate il ponte (Nipponbashi) e girate subito a destra. Il tempio si trova circa venti metri più avanti di fronte al concessionario di auto.

Per il Takatsuzan Hōonin (tempio n.21) uscite dall’ Hōanji e girate a sinistra, proseguite sempre dritto, fino alla fine della strada (circa cinque minuti a piedi), girate a destra e poi subito a sinistra. Il tempio si trova alla vostra destra. Se non volete camminare, scendete alla fermata Tanimachi-kyū-chō-me della linea rosa (Sennichimae-sen) e della linea viola (Tanimiachi-sen), uscita 2.

11 pensieri su “Gli 88 templi di Settsu, diario di un pellegrinaggio. Giorno 1, Parte 1”

  1. Carissima Gabriella,mi è piaciuto molto l’articolo che mi hai inviato. Leggendolo, mi sono sentito vicino a te  nella bella passeggiata e mi sono inchinato davanti ai resti dell’ albero di canfora morto a seguito …(non ho capito bene se dello scoppio della bomba atomica su Hiroshima o ad un incendio….). Mi potresti dare ulteriori delucidazioni? Il motivo è che, in uno dei capitoli del completando libro sui funghi ipogei della Basilicata (quello sulle piante simbionti dei tartufi), a proposito dei salici, ho ricordato in una nota che un Salix babilonica sopravvisse, insieme con altri alberi, al bombardamento atomico di Hiroshima. Questi alberi, se non vado errato, sono considerati come persone in Giappone.Forse più tardi t’invio la nota di cui ti ho parlato.Colgo l’occasione per indicarti che al 2° rigo sotto la figura del primo tempio dovresti scrivere “a poco a poco”  e, al quarto rigo  “un mobile”.Un forte abbraccio. Papà. Ti seguirò nel percorso che farai per trovare e visitare i luoghi degli altri 19 (se no sbaglio) templi.

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    1. Il pellegrinaggio comprende 88 (!) templi e accolgo il tuo invito, che rafforza la determinazione, a completare il cammino. Nel 1945, da marzo ad agosto, diversi bombardamenti colpirono la città di Ōsaka. Nella guida del pellegrinaggio non è indicato esattamente in quale di questi il tempio e l’albero di canfora dell’articolo andarono distrutti, ma molto probabilmente è quello di marzo, che colpì l’area dell’attuale Naniwa-ku, il quartiere centrale. In ogni caso non c’è alcuna relazione (per via della distanza spaziale) fra gli effetti di questi raid arei e il bombardamento ben più noto e triste di Hiroshima.
      Nello scintoismo gli alberi sono considerati persone? No, ma la natura al di fuori dello spazio abitato è considerata dimora del divino. Si ritiene che alcuni oggetti o elementi naturali (per esempio gli alberi secolari) ospitino temporaneamente la divinità, quando, in determinati momenti dell’anno, entra nello spazio abitato (precisamente nel tempio). Gli oggetti in grado di attirare e ospitare i kami (divinità scintoiste) si chiamano yorishiro e vengono circondati da corde di paglia intrecciate (shimenawa) che ne indicano la sacralità e delimitano lo spazio oltre il quale il fedele non può andare.
      Per quanto riguarda i refusi che dire ? Avrei bisogno di un correttore di bozze. Per quanta cura ci metta, me ne scappa sempre qualcuno.

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      1. Grazie Gabriella. Ti mando, subito dopo, all’indirizzo di tua posta elettronica la nota in cui si parla dei sopravvissuti alla bomba atomica di Hiroshima

        Un abbraccio. G. Luigi

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  2. Grazie per questo bel testo, una “intro” di un lungo viaggio che ti porterà a visitare gli altri 85 templi concatenati in questa sorta di “Camino giapponese”, per associazione a uno dei più noti pellegrinaggi mondiali (Camino di Santiago). Questa sorta di “caccia a tesoro” la associo personalmente anche ad un fantastico “gioco” chiamato “Geocaching” (io ed Elvio siamo iscritti da diversi anni) che consiste nel trovare, grazie ad un navigatore GPS, dei box, la cache appunto, nascosti da altri geocachers, per poi registrarne il ritrovamento, o meno, sull’apposito sito (www.geocaching.com). Noi siamo a quota 681. Se la cosa ti può interessare, prova a contrattare Elvio che sarà ben felice di condividere un ritrovamento con te. Osaka è stracolma di geocache. Certo, sarà meno spirituale rispetto al tuo progetto, ma vedrai che non te ne pentirai. Ciao, un abbraccio e complimenti per la tua abilità nello scrivere in modo molto fluente che rende la lettura sempre molto gradevole.

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    1. Ciao! Mi fa molto piacere sentirti ed è bello vedere come per ognuno la valenza certamente simbolica del “Camino “ assuma sfumature diverse. Interessante questa avventura delle geocachers che non conoscevo ( chiederò delucidazioni!) e 681 mi pare una quota di tutto rispetto. In quanti anni le avete raccolte? La frase “Ōsaka è stracolma di geocache” già mi proietta verso altre quest e altre possibili scritture:) Grazie anche per l’apprezzamento al modo di scrivere, ho ancora tanto da imparare, ma lo prendo come un incoraggiamento a fare meglio.

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      1. Siamo iscritti a Geocaching.com dal 4 febbraio 2004. In verità i nostri ritrovamenti sono ben poca cosa rispetto ai geocachers seri (i tedeschi sono dei veri maniaci) che superano ormai i 10.000 ritrovamenti. Non ci può essere competizione! Ma noi ci accontentiamo. Del Team fa parte anche un mio amico di BS, co-fondatore del GeoteamRB (R è infatti l’iniziale del suo cognome, B del nostro, cioè mio e di Elvio). Purtroppo il mio amico si è stufato e andiamo avanti solo noi: io in Europa e Elvio in Giappone. Iscriviti anche tu, è facile. Ormai puoi fare anche a meno di un GPS, tanto è incorporato nello smartphone (un po’ meno preciso però). Basta installare l’App. Geocaching. Se lo farai, Buonz caccia! Ciao, un abbraccio. Gemio

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      2. Sembra molto divertente. Ho guardato dei video su YouTube e ho sentito Elvio. Chissà cosa si nasconde a Ōsaka! Mi diverte anche l’idea di disseminare a mia volta “tracce” e magari potrebbe diventare anche un articolo qui sul blog. Un caro saluto. Gabriella

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