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Un angolino di poesia

Ci sono momenti della città che regalano lo stupore di un fiore che sboccia, quando un dettaglio (qualcosa che ai nostri occhi sarà la voce solista del coro) ha la forza di spezzare il flusso disordinato dei pensieri e di imporre la propria lunghezza d’onda. All’inizio sono numerosi, come in una storia d’amore in cui ci si muove con passi incerti alla scoperta “dell’altro”, in seguito, quando le molecole reattive dell’innamoramento si stabilizzano, diventano più rari e quindi più preziosi. L’importante è non smettere di guardarla la città, non darla per scontata, ricordarsi la fortuna di aver incontrato un luogo dell’anima.

davanti all`Higobashi Center Building (8 agosto 2018)

Mesi fa mi ritrovo faccia a faccia con uno degli attimi in cui il tempo interiore si fonde con quello urbano. Un’inezia: una fontanella di pietra a forma di vasca, con un pesce puntellato su di essa e sul bordo un ragazzino accovacciato a fissarlo. La figura è stilizzata a mo` di “O”, si vedono solo la testa, le braccia e le gambe; il centro è vuoto. Al posto dei capelli una pietra grezza, sul viso due puntini per gli occhi che conferiscono alla sagoma un’espressione di stupore ingenuo, come il desiderio di afferrare il pesciolino mentre spicca il salto sulla superficie dell’acqua. Un’immagine tenera, inaspettata, che mi obbliga a fermarmi e a interrompere i miei ragionamenti. Osservo divertita, mi immagino un ragazzino spettinato, sporco di terreno, rapito alla vista della vita nell’acqua, mi ricordo l’infanzia e le piccole cose che mi suscitavano grandi emozioni. In  questa costruzione immaginativa il ritmo della città, che ha spezzato il mio, torna nella mia sfera psicologica e la fontanella diventa un elemento del  dialogo personale che ho con la città. 

L’insieme mi fa così tanta tenerezza che ne pubblico una foto su Facebook (cosa rarissima per me), intitolandola “un angolino di poesia ad Ōsaka”, poi volo via con la mia bici. È l’8 agosto 2018 (lo so perché Google Foto archivia “a tradimento” per me). Passano i mesi e ripenso periodicamente alla piccola fontana, finché mi accorgo che è diventata uno dei ricordi e dei luoghi a me cari di Ōsaka. Non è nemmeno un luogo, a dirla tutta, è solo una cosetta messa lì a decorare la via. Ce ne sono tante di opere di arredo urbano molto più artistiche di questa, i lampioni di Amemura, le statue sulla Midosuji. Quante saranno da un lato all’altro della strada? Trenta, quaranta? E ora che ci penso potrei dedicar loro una gita esplorativa, ma la storia del bambino sulla vasca dei pesci chi la conosce? Mi fa quasi piacere pensare che sia una mia scoperta, anche se naturalmente è impossibile in una città popolata da qualche milione di abitanti.

Oggi è il 7 settembre 2020, controllo la data dello scatto sul telefono: sono passati due anni da quando ne custodisco il ricordo! Vengo assalita dal fortissimo desiderio di ritornare sul posto dove l’ho incontrata e subito dopo dal timore di averla persa. Dove si trovava esattamente? La memoria mi dice che era da qualche parte non lontano dall’ufficio, ma consultando la mappa stradale potrebbe trovarsi in realtà in una qualunque delle parallele fra la Midōsuji e la Yotsubashisuji, o magari ancora più a est. Scartabello internet: “statue di Ōsaka”, “statua di bambino a Ōsaka”, “fontane di Ōsaka” e così via, ma come immaginavo, non viene fuori niente. L’idea di andarmene in giro a caccia del mio ricordo, con il caldo umido della stagione dei tifoni e la pioggia che ti può cogliere in qualsiasi momento, non mi alletta per niente, ma mi rassegno presto all’idea della necessaria quest.

Il giorno dopo risalgo la Yotsubashisuji da sud verso nord. Durante la strada mi prendono i dubbi, dovrei spingermi più a ovest forse, «ma no, tanto vale fare le cose con ordine, prima la grande arteria, poi se non funziona, al ritorno provo con una parallela». Arrivo a Higobashi, praticamente sono a due passi dall’ufficio e ancora non ho trovato nulla, è impossibile che sia più a nord ancora, dunque dovrò cercare altrove, pazienza. Non appena finisco di formulare il pensiero la scorgo con lo sguardo poco più avanti, a pochi passi da me! È il mio giorno fortunato! Il ragazzino è ancora lì, accovacciato da due anni (e forse più). L’insieme è meno artistico di come lo ricordavo, ma comunque possiede un’aura gioiosa. Intorno c’è un’aiuola di piante e arbusti che non avevo notato e dove trovo un cartello di spiegazioni, ma non relativo alla statua ahimè, bensì alla vegetazione. Giro intorno alla fontanella, nessuna targa ad indicarne l’autore e la data: è una cosa fatta in serie. Chi l’avrà commissionata, perché rappresenta un gioco d’acqua? Mi soffermo su alcuni dettagli che non avevo memorizzato, come il granchietto a rilievo che sta sul bordo esterno della vasca, e mi sembra allora che lo stile ceda alla tentazione del kawaii1. In basso, al centro della “O” che descrive il corpo del ragazzino, scorre l’acqua che confluisce nella vasca, nella stessa sono stati messi tanti sassolini gialli…. Sembra che stia facendo la pipì! Ma come è possibile?

Sorrido, questa volta è tutto il mio mentale che si mette in moto, la voglia di scoperta razionale, il bisogno di indagare che si sostituisce alle emozioni. Ipotizzo che l’immagine possa riferirsi alle fontane e ai giochi d’acqua dell‘ Utsubo kōen poco distante, oppure che sia semplicemente un giardinetto di rappresentanza dell’Higobashi Center Building alle spalle. In men che non si dica mi ritrovo ad avere più domande che risposte, il bel ricordo diventa ansia di sapere, che si trasforma a sua volta in senso di impotenza davanti alla difficoltà di reperire delle informazioni su un dettaglio tanto infinitesimale di Ōsaka. Comincio a intravedere lo schema delle le emozioni che nutro verso la città: si muovono su due binari ben precisi, seguono costantemente l’altalena ora dell’ avvicinamento emotivo, a cui segue l’ approfondimento razionale, ora dell’avvicinamento teorico a cui segue quello emotivo. L’ ansia è l’elemento di troppo, la nota che stona e mi deruba della gioia dell’esperienza conoscitiva. È una rivelazione, ho trovato un tesoro ancora più inaspettato del primo incontro fortuito con la fontanella, la risposta ad una domanda molto più profonda e sottesa a quella su questa fontana, su quell’edificio, su tal ponte, tal fiume o tal tempio, ed è il perché mi approccio con un senso di fretta alle cose della vita. È come se per sentirmi sicura avessi bisogno di accumulare quante più nozioni possibili, come se a un certo punto fosse subentrata in me l’idea che il “capire” scaturisca solo dal “sapere” e che le risposte si trovino in qualche libro da studiare. Sto sottraendo energie all’intuizione, alla possibilità di godermi il viaggio alla scoperta delle cose, presa come sono dalla necessità di sommare le conoscenze e capire “solo con la testa” e non anche con il cuore. Così ancora una volta davanti alla “miracolosa fontanella” il treno che corre dentro di me si arresta e il rumore dei pensieri nel quale sono costantemente immersa si affievolisce.

Scatto una fotografia per catturare il momento, è praticamente identica a quella che già possedevo, ma accostandole sarò in grado di vedere un prima e un  dopo nella mia vita. A questo punto riprendo il cammino e lascio il ricordo dove è bene che stia, in un angolino di poesia nel mio cuore.

davanti all`Higobashi Building Center (8 settembre 2020)

1. Kawaii è un aggettivo che può essere tradotto come “grazioso”, “carino”, “adorabile”. A partire dall`inizio degli anni ottanta indica anche alcuni personaggi di anime, manga e videogiochi che possiedono delle caratteristiche tali (occhi grandi, lineamenti dolci e infantili, modi buffi) da intenerire chi li guarda. La subcultura che ne deriva, fatta di modi di vestirsi, di parlare, di scrivere e comportarsi, riguarda nello specifico (ma non solo) le ragazzine o i ragazzini più giovani, prevalentemente in Giappone.

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